Boicottare Airbnb
La notizia è che Airbnb in Giappone viene penalizzata ed a Parigi è sempre in discussione tra tifosi pro e contro come avviene nei bistrot per la prevalenza o preferenza individuale tra Bordeaux o Borgogna. Ma leggendo poi davvero la notizia si scopre che in Giappone esiste un problema oggettivo che potremmo definire tecnico/ culturale di prevenzione incendi che consiste nelle camere di carta delle abitazioni private nelle quali il turista americano che fuma a letto, nonostante sia proibito, dopo essersi scolato una bottiglia di sakè mette probabilmente in serio pericolo la sua vita, la casa e forse tutto l’isolato.
Nello stesso modo a Parigi o San Francisco, ma anche in altre città con un centro storico fortemente valorizzato, è naturale che parte dei cittadini se ne senta in qualche modo esclusa perché ci vivevano i suoi genitori e loro non possono più farlo, ma da architetto rimandato all’esame di urbanistica perché innamorato dei modelli matematici applicati ai flussi di traffico, suggerisco in questi casi di andare a verificare le scelte di pianificazione territoriale fatte negli anni precedenti, in modo eclatante nel caso di Barcellona per le olimpiadi degli anni ’90 o con aspetti socialmente minori ma finanziariamente maggiori a Milano nel caso del quartiere tre torri o della zona Tortona/ Naviglio.
L’esclusione dei residenti in questi casi non è il frutto malato di una astratta gentrification che si vorrebbe spacciare come teorema Darwiniano del modello Airbnb applicato allo sviluppo urbano, ma discende direttamente dal costo sproporzionato degli interventi edilizi su larga scala rispetto ai reali valori di mercato che hanno fortemente condizionato le scelte di cittadini ed amministrazioni. La stessa via Tortona ai tempi del mio liceo era una strada nella quale mia madre o mia sorella non avrebbero osato passeggiare all’imbrunire ma forse anche in pieno giorno, oggi invece non vedono l’ora di andarci e questo ha avuto evidentemente un costo economico e sociale. Come diceva il vecchio Bob: “the times they are a changin” i tempi sono un cambiamento e in questo caso limitare Airbnb è una scelta tra tante possibili più o meno utile o lecita ma in ogni caso unicamente dettata dalprotezionismo commerciale e come tale andrebbe comunicata senza spacciarla con motivazioni sociali o urbanistiche.
Franco Bontadini 26 Novembre 2018 (8:10)
Ben detto! Aggiungerei però tre considerazioni:
A) Da che mondo e mondo le città crescono espellendo dal centro la popolazione che vi risiede e mandandola in periferia, Airbnb esiste da 10 anni, non gli si può addebitare un fenomeno che data dai tempi di Babilonia, circa 5.000 anni fa.
B) Come ricordato il costo degli interventi edilizi è molto alto, l’edilizia esistente è di qualità medio bassa e necessita di massicci interventi di riqualificazione: tutto il cemento armato costruito nella seconda metà del XX secolo (ossia il 70% degli edifici esistenti) rischia, altrimenti, di fare la fine del ponte Morandi. Per molti cittadini, proprietari di appartamento, l’home sharing offe la possibilità di recuperare le risorse economiche necessarie a tale manutenzione straordinaria. Risultato: l’home sharing è un importante strumento contro la gentrification.
C) ho parlato di “home sharing” e non di “Airbnb” perché dentro quest’ultimo fenomeno si celano anche industrie del turismo extra-alberghiero, che gestiscono centinaia (a volte migliaia) di appartamenti assorbendo gran parte delle risorse liberate dall’uso delle abitazioni altrimenti inutilizzate. È fondamentale che introduciamo la distinzione fra home sharing e house renting, in quanto fenomeni distinti, entrambi leciti, ma con effetti economici e sociali assai differenti. Purtroppo Airbnb usa l’home sharing più come foglia di fico, che come strumento di differenziazione marketing, preferisce mettere in mostra il “plus” delle proposte con “trattamento alberghiero” a quello della relazione con le famiglie offerto dall’home sharing.